non
poteva non richiamare l'attenzione dei Sommi Pontefici, i quali gli
affidarono importanti missioni. E nel 1057 papa Stefano IX lo creò
cardinale e vescovo di Ostia.
Nella
storia della Chiesa è considerato uno dei Dottori più illustri per
sapienza, santità e spirito intraprendente.
Dopo
la morte di San Pier Damiano (22 febbraio 1072), il processo di
ampliamento di Fonte Avellana non si arresta, tende anzi a svilupparsi
ulteriormente per continui acquisti e donazioni di terre, l'unica
ricchezza per gli uomini di quei tempi. Le donazioni provengono da enti
religiosi, da prelati, vescovi, ma anche da laici nobili o di modeste
condizioni e di solito sono fatte "pro remedio animae" ma
anche dettate da altre
preoccupazioni:
la ricerca di protezione e l'autonomia che Fonte Avellana, come grande
ente sotto la protezione di Papi e Imperatori, poteva offrire, in un
territorio soggetto a sopraffazioni e scarso di capitali e di manodopera
per uno sfruttamento sicuro e produttivo delle aree montane ove la terra
era dura da lavorare ed avara a rendere, con la possibilità di
riottenere in enfiteusi le terre donate.
Fonte
Avellana diventa così un centro organizzatore di tutti gli aspetti
della vita sociale ed economica delle comunità circostanti e in due
secoli appena, all'inizio del secolo XI, raggiunse nell'Italia centrale
una potenza economica, sociale e politica mai conseguita da nessuna
altra congregazione religiosa. A questa potenza per la costante
espansione dei possedimenti si accompagnò anche la reputazione
acquisita con l'austerità e la santità dei suoi monaci.
Dopo
il mille, Fonte Avellana è nel suo pieno fulgore: i vescovi delle
diocesi sono scelti fra i suoi priori, i monaci sono accolti con grande
stima in tutte le corti feudali e alla corte papale sono tenuti in
semina considerazione.
Sovrani,
principi e cavalieri non disdegnano i loro preziosi consigli. Nella
storia della Chiesa Fonte Avellana ha lasciato una traccia profonda e
indelebile e bastano poche cifre per documentarla:
76
tra Beati e Santi, 54 vescovi, 5 cardinali e inoltre i Papi Celestino
11, Innocenzo III, Celestino V, Giulio II della Rovere e per ultimo
Gregorio XVI.
Tra
gli illustri abitatori dello storico cenobio dobbiamo ricordare S.
Giovanni da Lodi, S. Domenico Loricato, S. Ubaldo vescovo di Gubbio, S.
Rinaldo, S. Raniero arcivescovo di Spalato e S. Albertino che, priore
dell'eremo verso la metà del XIII secolo, è il pili conosciuto e
venerato dei santi avellaniti dalle popolazioni viciniori della vallata.
Imperatori,
Pontefici, sovrani e principi tennero sempre in grandissima
considerazione questo monastero e numerosi sono i diplomi, le bolle
attestanti i privilegi e le immunità concesse. Il primo documento del
genere
è un privilegio di papa Silvestro II (999-1003).
I
possedimenti
di Fonte Avellana si estendevano in tutta l'Italia centrale, dalla
Romagna alle Marche, dall'Umbria alla Toscana per giungere fino
all'Abruzzo. La bolla di Onoro III del 1218 contiene la lista dei beni
confermati a Fonte Avellana da papi e imperatori (eremi, monasteri,
chiese, cappelle, ospizi, castelli ecc.) situati nelle diocesi di
Ancona, Ascoli, Assisi, Bologna, Cagli, Camerino, Città di Castello,
Faenza, Fano, Fermo, Foligno, Fossombrone, Gubbio, lesi, Nocera, Osimo,
Penne
(Pescara), Perugia. Pesaro, Recanati, Rimini, Senigallia, Spoleto, Umana
(Numana) e Urbino
Nel
1251 papa Innocenzo IV, su istanza del priore Bartolo e dei fratelli
dell'eremo di S. Croce di Fonte Avellana, sull'esempio dei suoi
predecessori Gregorio VII, Onorio III, e Gregorio IX, prende sotto la
sua protezione l'eremo con tutti i suoi possessi e beni, confermando
tutte le liberti, immunità ed esenzioni.
Alla
fine del XIII secolo i possedimenti e i beni dell'eremo non devono più
essere difesi dalle mire e dalle invadenze dei signori rurali, ma
soprattutto dallo sviluppo e dalla espansione delle nuove realtà
politiche del periodo cioè i comuni di città e di castelli.
I
pontefici, infatti, oltre a prendere sotto la loro protezione tali beni,
inviano alcune litterae e-vecutoiiae per proibire che i comuni vicini,
specie Gubbio, Sassoferrato e Cagli, arrechino molestia alla comunità
monastica.
La
proibizione riguardava in particolare gli uomini dell'eremo che i comuni
costringevano a trasferirsi entro le loro mura e a pagare le collette.
In
precedenza era stato l'imperatore Federico II ad intervenire con un
mandato indirizzato ad un comune non indentificato, ma molto
probabilmente marchigiano, per proibire ad esso di arrecare molestia a
un ospedale soggetto a Fonte Avellana.
Il
monastero sorge in una posizione rupestre quanto mai suggestiva.
Solitario,
massiccio, esso si eleva su una propaggine del monte Catria (700 metri
s.l.m.) e gli fanno degna corona monti ricoperti in gran parte da boschi
di faggio, carpino, ornello e avellano. Luogo di selvaggia e poetica
bellezza ha sempre attirato non soltanto uomini desiderosi di
abbandonare le lotte del mondo, ma anche pii visitatori appartenenti
alle più alte classi sociali. La moglie di Federico Barbarossa in
visita al monastero e lì colpita da morte improvvisa viene sepolta
accanto alle salme degli umili monaci'.
Anche
Guido d'Arezzo, inventore delle note musicali, fu priore dell'eremo
quando nel 1035 San Pier Damiano vestì l'abito religioso.
Una
tradizione costante e molto antica, che vorremmo suffragata da documenti
più vicini all'epoca, vuole il sommo Poeta Dante Alighieri
ospite
a Fonte Avellana. Tale tradizione è ripresa negli Annales Camandulenses,
Tomo V, Lib.. 48, fig. 317 che la derivano da altri storici a loro
anteriori. II Sommo Poeta nel 1318 era ospite di Bosone di Gubbio e
sarebbe questo l'anno in cui sarebbe venuto a Fonte Avellana fermandosi
per un certo tempo.
La
primitiva chiesa dedicata a S. Andrea, dopo numerosi rifacimenti e
sovrapposizioni operati nei primi secoli, venne dedicata alla Santa
Croce e consacrata il 31 agosto 1197, al tempo di Celestino 111 papa e
Enrico V I l'imperatore, alla presenza del venerabile Gentile Legato
della Santa Romana Chiesa, con l'intervento di Raniero vescovo di Città
di Castello, Viviano vescovo di Perugia, Ugone Brandi cittadino e
vescovo Urbinate, Allodorio vescovo di Cagli, Monaldo vescovo di Fano,
Nicola vescovo di Fossombrone, Giordano vescovo di Umana, Attone vescovo
di Camerino, Grimaldeseo vescovo di lesi, Guido vescovo di Assisi, Marco
vescovo di Gubbio, Ugo vescovo di Nocera e l'assistenza di Enrico
vescovo di Senigallia.
Alla
consacrazione della chiesa seguì quella dei sei altari dedicati alla S.
Trinità, alla S. Croce, a Maria Vergine e a Santi e Martiri.
L'eremo
fu arricchito, in varie epoche, di nuove strutture e di edifici di
pregevole interesse architettonico.
Si
possono ammirare il
chiostro, costruito in pietra ai tempi di S. Pier
Damiano, come la suggestiva cripta, la possente e bella torre campanaria
eretta nel 1482 dall'abate commendatario il cardinale Giuliano della
Rovere, eletto poi papa col nome di Giulio B, la sagrestia, il
refettorio e il coro finemente e pazientemente intagliati.
Il
locale più singolare è lo scriptorium voluto da S. Pier Damiano: un
ambiente nudo, austero, ma luminoso, adibito ad officina libraria dove i
monaci amanuensi ricopiavano i testi classici e miniavano gli antichi
codici, che ancora oggi suscitano meraviglia e stupore. |
E'
situato nel corpo di fabbrica romano-gotico che, sostenuto da un grande
arco, sporge nella parte più antica del monastero.
La
luce vi entra da due ordini di finestre, soprattutto dalle finestre in
fuga dell'ordine superiore, singolarmente aperte tra l'imposta e il
fianco della volta. A1 centro dell'ampio locale un grande tavolo
cinquecentesco mirabilmente intagliato.
Attualmente
nel monastero ci sono due biblioteche, al piano inferiore quella
intitolata a Dante Alighieri, al piano superiore quella monastica, che
complessivamente custodiscono circa 30 mila volumi, tra cui diversi
incunaboli, edizioni cinquecentine, codici, che vanno dal 1000 al 1300,
volumi manoscritti e numerose pergamene. Ma sono ben piccola cosa di
fronte a quello che doveva essere la biblioteca di Fonte Avellana
fondata da S. Pier Damiano. I numerosi codici della celebre Avellana
Collectio, codici da lui acquistati o fatti ricopiare dagli amanuensi
nello scriptorium e corretti di suo pugno, oggi si trovano alla
Biblioteca Vaticana, dove furono trasferiti, con gli antichissimi
documenti dell'archivio sui rapporti tra l'Impero e la Chiesa, nel 1550
dal cardinale Sirleton.
Quello
che maggiormente sorprende il visitatore è, all'esterno, la complessa
vastità dell'edificio e, nell'interno, il numero delle celle,
l'ampiezza dei corridoi e la grandiosità delle sale.
Papa
Giovanni XXII, con bolla in data 15 marzo 1325, elevò il monastero ad
abbazia; nel 1392 papa Bonifacio IX affidava il governo dell'abbazia
agli abati commendatari che la ressero fin quasi alla fine del XVI
secolo.
Tra
questi dobbiamo ricordare:
-
il primo, il cardinale Bartolomeo Mezzavacca di Bologna dal 1392 al
1395;
-
il monaco Pietro Beni della Serra dal 1423 al 12 aprile 1456;
-
il cardinale Nicolò Ridolfi, nipote di Leone X, dal 1518 al 1533; - il
chierico Filippo Ridolfi, nipote del precedente, dal 1551 al 1565, che,
per onorare il suo illustre concittadino e tramandare ai posteri
la presenza di Dante a
Fonte Avellana, nel 1557 fece collocare sopra la
porta della cameretta assegnata al Sommo Poeta una epigrafe
sormontata dal semibusto in marmo dell'Alighieri;
-
il cardinale Giulio Feltrio della Rovere, dal 1565 al 4 dicembre 1569,
ultimo
abate commendatario! 1. Le commende , in genere, non godono di eccessiva
simpatia nè tanto di buon nome sul quadrante storico specie monastico.
Poiché, in definitiva, si trattava dell'affidamento dei beneficio dei
beni di proprietà di un
monastero
o di un'abbazia a persone estranee per lo più di alto rango
ecclesiastico o civile, al solo scopo di fare la loro fortuna; quella
della commenda è ritenuta come una piaga o come una di quelle disgrazie
che contribuirono moltissimo alla decadenza morale, oltre che materiale,
di moltissimi centri monastici.
L'inevitabile
decadenza e la corruzione morale, già lamentate dai versi danteschi, si
accentuarono fino a determinare la soppressione della Congregazione
Avellanita sancita da papa Pio V con bolla del 10 dicembre 1569 col
passaggio del monastero alle dipendenze della Congregazione Camaldolese.
In
seguito, papa Gregorio XIII, con bolla del 5 settembre 1579, affida il
patrimonio di Fonte Avellana al Collegio Germanico Ungarico di Roma
dell'ordine dei Gesuiti.
Nel
corso del XVII secolo si registrò per opera dei Monaci Camaldolesi una
momentanea ripresa della Congregazione, la cui esistenza fu di nuovo
compromessa dalla soppressione napolconica del 1810 e dalle leggi del
nuovo Regno d'Italia- del 1866 con demanializzaione dei beni
ecclesiastici e lo scioglimento delle congregazioni religiose.
Fonte
Avellana, dopo la sua restituzione ai monaci, ritrova la bellezza
austera delle sue strutture architettoniche che abbracciano un arco di
tempo dal secolo X al tutto il secolo XVIII.
Anche
il Duce durante il periodo fascista si interessò di Fonte Avellana con
l'elargizione di una cospicua somma per i primi, più impellenti e
decorosi lavori di restauro e di ripristino della torre campanaria che
minacciava di crollare per l'incuria di tanti anni, con grave pericolo
per l'incolumità della stessa chiesa.
Si
rinnovarono le coperture, si restaurarono i muri e si consolidarono le
fondamentali.
Negli
anni 1980 - 1982 è stato celebrato il millenario della fondazione
dell'eremo di S. Croce di Fonte Avellana con iniziative culturali e
religiose che si sono concluse il 5 settembre 1982 con la visita del
Sommo Pontefice Giovanni Paolo II del 5 settembre 1982 che.
nell'indirizzo di saluto alla moltitudine di pellegrini, disse:
"Sono
venuto a dissetarmi a questa fonte di ,spiritualità in questa atmosfera
in cui tutto è richiamo ai valori dello spirito. Qui dove regna il
silenzio e domina la pace, Dio parla al cuore dell'uomo .... E' bello
pensare alla lode che da più di un millennio sale ininterrotta a Dio da
questo monastero ad opera di generazioni e generazioni di monaci ....
". |