Presentazione
Rispetto al potenziale conoscitivo e formativo dei saperi che la scuola seleziona e assume a fondamento del suo curricolo, occorre riconoscere le difficoltà, nei contesti della progettazione educativa e didattica e del fare scuola, di individuare modalità adeguate per la realizzazione di concrete esperienze di apprendimento. Il carattere dinamico che connota pratiche didattiche e esperienze formative significative, necessariamente rimanda, ad una complessa relazione e a sottili e sensibili equilibri tra soggetto che apprende, oggetto culturale e contesto educativo che si configura aperto a relazioni positive, coinvolgenti, attento allascolto, al rispetto e alla valorizzazione delle identità e delle diversità.
In questa prospettiva, Anche la scuola è la mia casa, ovvero il cantiere dellutopia, vuole dar voce alla riflessione sulloperare e sul vivere la scuola, offrire opportune strategie per il superamento di disagi, cogliere segnali dinteresse, individuare motivazioni, sui quali costruire consapevolezze e saperi efficaci e trasferibili.
La finalità posta a fondamento di questo percorso è quella appunto di offrire al pensiero la possibilità di esercitarsi a pensare qualcosa di diverso dal consueto, riconoscendone la capacità costruttiva, attraverso la riflessione, il confronto, la comparazione di contesti e vissuti delleducare da parte dei protagonisti delleducazione.
Lazione progettuale si muove sulle tracce della declinazione di un percorso, anchesso confluito in una pubblicazione, dal titolo: La continuità narrata, ovvero io cresco e deve crescere anche quello che è fuori di me, rispetto al quale presenta forti analogie strutturali e organizzative.
Il titolo trascende ogni possibile interpretazione che rimandi a insidie, trappole per i bambini, per gli alunni in genere, rinvia, piuttosto alla qualità dellabitare connotata da una rassicurante sintesi di affetti (quantomeno a livello simbolico, perché è innegabile che nella realtà sempre più spesso ci sono smentite) e crea un parallelo tra casa e scuola come i due contesti più vicini e vissuti del vivere e dellimparare. In questa ottica la scuola, nella sua motivazione istituzionale, vuole essere uno sfondo rassicurante e fiducioso dellinsegnamento e dellapprendimento, in tutte le sue possibili modalità: individuale, cooperativo, solitario o mischiato.
Il sottotitolo Il cantiere dellutopia, è un debito rimando alla ricomposizione degli affreschi della Basilica di San Francesco di Assisi, danneggiati con il terremoto del 1997, e vuol porre lattenzione su quelle che sono le capacità, le competenze di coloro che si adoperano per questa ricomposizione: pazienza, precisione, curiosità nellesplorare e scoprire, creatività, intuitività, capacità di analisi, sguardo dinsieme, supportate da importanti e capillari conoscenze sullo specifico. Ciò potrebbe assomigliare e/o avvicinarsi al contesto dellinsegnare e dellimparare e agli atteggiamenti messi in atto dai protagonisti.
La presente pubblicazione raccoglie e documenta il percorso messo in atto nel corso dellanno scolastico 2001/2002in rete locale tra listituto comprensivo di Pergola e lIstituto comprensivo di San Lorenzo in Campo, messa in atto con ottimi risultati in altre occasioni.
Il percorso si caratterizza per il metodo della ricerca-azione che permette il coinvolgimento attivo e interattivo di tutti i soggetti coinvolti, la continua rimodulazione e riadattamento dei percorsi e delle fasi, non costringe in rigidi schematismi e offre larga flessibilità nelle scelte, nelle strategie nelle modalità di attuazione. Esso si muove attraverso la riflessione, il confronto, la comparazione, lideazione e levoluzione emotiva degli operatori (insegnanti e alunni) sui due contesti stimolo che sono appunto la casa e la scuola e, a partire da una fase di libera associazione mentale, si ha via via un crescendo di riflessione ed elaborazione concettuale nelle successive fasi in cui è richiesto di descrivere strutturalmente, emotivamente, relazionalmente i contesti casa-scuola, i soggetti che vi vivono e vi operano, per giungere poi alla capacità di soffermarsi sugli apprendimenti che questi contesti nel loro essere vissuti con tutte le relazioni, interazioni, scambi e accadimenti che in essi avvengono, permettono di raggiungere e costruire e per infine pensare in modo fattibile e potenzialmente migliore alleventuale modificazione e/o trasformazione degli stessi.
La parte principale dellopera si compone di cinque capitoli che raccolgono testi e disegni particolarmente significativi, accattivanti, originali di alunni e insegnanti, circa le proposte stimolo, ognuno dei quali si conclude con il paragrafo Di pietra in pietra, una sorta di sintesi e riflessività di ogni fase, che ha lo scopo di fissare quanto è stato assunto nel farsi del percorso, alcune riflessioni emergenti che permettano di essere socializzate e rielaborate per dar luogo a nuove esperienze e a importanti acquisizioni/apprendimenti che abbiano il carattere della solidità, del perdurare nel tempo e nello spazio.
Destinatari e protagonisti dellazione sono stati alunni e insegnanti rappresentativi di tutti gli ordini scolastici e di tutti i comuni dei due istituti comprensivi.
Il coordinamento del progetto è stato affidato a Verdini Angelo, Dirigente Scolastico dellIstituto Comprensivo di Pergola, e a Catena Marina, funzione strumentale per la continuità nellIstituto comprensivo di Pergola; hanno collaborato e contribuito alla cura della redazione Conti Maria Cristina e Faggi Grigioni Silvia, entrambe funzioni strumentali allinterno dellistituto comprensivo di Pergola rispettivamente per il coordinamento delle attività di educazione interculturale e per il coordinamento dellutilizzo della biblioteca.
Di fronte ad alcuni inquietanti indizi di inutilità dei pensieri e della valorizzazione dei loro difensori/sostenitori, in quanto sopraffatti dalla velocità dellefficientismo e delle compatibilità aziendalistiche, Anche la scuola è la mia casa, attribuisce e riconosce cittadinanza ai pensieri, offre loro un canale di espressione, riconosce e sostiene la loro dignità, la loro intima fragilità, la loro delicatezza, la loro necessità e soprattutto valorizza la loro energia portatrice di trasformazione in se stessi e verso i contesti delloperare, ne garantisce lascolto, sostiene lincontro, la divergenza e il confronto tra i pensieri dal quale possono nascere piccole e grandi modificazioni su se stessi, sugli ambienti di vita, immaginando al loro interno anche possibili interventi. Questo è quanto può essere rintracciabile nei testi e deducibile dalle immagini e disegni che la presente pubblicazione raccoglie; elaborati che hanno la parvenza di trattare contenuti ampiamente presenti nella pratica ordinaria della vita scolastica ma qui riproposti, ricontestualizzati in uno scenario non statico e predefinito ma aperto, disponibile allascolto e allattenzione, ricco di valori, di scambio e di circolarità perché tutto ciò che entra o che circola a scuola va comunque assunto.
Abbandonando la smania dellefficientismo e la rigidità di ruoli e relazioni, ognuno è divenuto protagonista della sua esperienza educativa partecipe del farsi della sua formazione.
Anche la scelta del disegno di copertina appare in questo senso significativa, in esso possono essere immediatamente colti, rintracciati, individuati la rotondità, la circolarità, la pluralità, la diversità ma anche la compattezza, il senso di solidarietà, la comunità di sguardi, parole e gesti, le relazioni interne, rinviando ad una relazione educativa che lascia trasparire e traspirare un clima favorevole per pensare per fare per vivere.
Un particolare ringraziamento va alla Regione Marche, Assessorato allIstruzione, Servizio Formazione Professionale, che ha reso possibile la pubblicazione.
Premessa
(Intervento
pedagogico sullesperienza e sui suoi dintorni
a cura di
Maria Arcà)
Tantissimo tempo fa un grande
maestro, Alberto Manzi, aveva scritto una serie di libretti intitolati Zupack: a casa come a scuola.
Erano i compiti per le vacanze di allora, pieni di frasi buffe di cui bisognava capire il
significato, di definizioni strampalate,
di giochi di parole, di indovinelli, di
curiose definizioni raccolte tra i
bambini, di consigli per ricordare meglio, di disegni da interpretare e completare.
Rispecchiavano un modo di fare scuola provocatorio e intelligente in cui gli
schemi tradizionali del sapere erano messi in discussione: la geografia si
studiava esplorando quello che cera fuori della scuola, e i temi su cui i
ragazzi dovevano scrivere erano del tipo: Come mi soffio il naso o Come mi
allaccio una scarpa, immancabilmente seguiti da una precisa rappresentazione
gestuale delle indicazioni date dai ragazzi e che mai portavano a soffiarsi il
naso o ad allacciarsi le scarpe. Almeno nel segreto delle coscienze, i genitori
erano abbastanza preoccupati e certo non avrebbero voluto che i bambini
facessero a casa quello che, almeno secondo il titolo, si faceva a scuola.
Il loro desiderio nascosto era, come
sempre, quello di avere un figlio adeguato agli altri, che non sfigurasse, che imparasse quello che bisognava imparare,
senza troppe preoccupazioni sulla creatività o sulla comprensione profonda...
I ragazzi erano felici?
Ovviamente, come sempre, alcuni sì ed alcuni no: quelli che erano riusciti ad
entrare nel gioco di un sapere da costruire e non da ricevere, talvolta
elaboravano idee geniali e talvolta si sentivano incapaci o frustrati; quelli
che non volevano partecipare si trovavano più a disagio, ma cera spazio anche
per chi non riusciva a seguire il ritmo degli altri. Un po di infelicità sembra inevitabile, sia nella casa come
scuola che nella scuola come casa
e forse saperla affrontare fa parte della
vita, sia dei grandi che dei piccoli.
Nella raccolta dei testi e disegni della scuola di Pergola si incontrano bambini
che parlano della casa e della scuola come di luoghi a felicità
limitata, in cui le cose che fanno male
capitano in modi imprevedibili, e non
sono quasi mai premeditate. A scuola come a casa si sente laspirazione a
vivere in un mondo ideale, sereno e non
sfiorato da conflitti, ma l amorosa fedeltà ad un mondo di giustizia si scontra
continuamente con un mondo reale
condizionato da volontà altre e dallintreccio di eventi
incontrollabili. Casa e scuola sono gli
spazi della esperienza, ed è lì che si costruisce la capacità di amare e di
costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o di imparare la
paura, ma per sopravvivere bisogna
imparare a rispettare regole non sempre gradite, che pongono
vincoli alle possibilità di realizzare i propri
irreali desideri.
Il divario tra il mondo reale e il mondo
immaginario, quello in cui se ci fosse- ci si starebbe proprio bene, aumenta
e diminuisce anche nelle varie situazioni familiari. Nel mondo immaginario i
genitori non litigano e hanno tempo a disposizione dei figli, niente mina la
fragilità di una pace domestica. A casa è più facile vivere da protagonisti,
sentirsi unici almeno negli spazi segreti
in cui ci si va a rifugiare. Così molti
bambini raccontano delle solitudini cercate in luoghi amici e in appropriati
nascondigli, degli animali che accolgono le brevi tristezze o dei compagni con cui si scappa per sopportare e dimenticare le
delusioni.
Ma cosa fa male a questi ragazzini
che dalletà di circa tre anni vivono con alterne amicizie e con insegnanti più
o meno disponibili, in una comunità scolastica? E cosa allieta, invece, la loro
quotidianità
Cè un proverbio calabrese che
dice: chi ha, è, chi non ha, non è. Nella brutale secchezza di questa
frase sembra, a volte, di trovare una chiave per capire meglio, e per
interrogarsi su cosa i bambini vorrebbero avere per poter essere. I più ingenui
lo dicono chiaramente: vorrebbero avere segni di stima e di accettazione da
parte dei loro adulti, genitori o
insegnanti che siano. I momenti in cui si sentono di essere sono quelli in cui
anche gli altri si accorgono della loro esistenza e, in un modo o in un altro,
la certificano positivamente.
Questa inesauribile richiesta di
certificati di esistenza richiede una attenzione particolare, specifica per
ogni bambino, allinsegnante che ha come riferimento, quasi sempre, una classe
più o meno numerosa.
Nella continua richiesta di poter
esistere, i ragazzi non si sentono ascoltati, e se sono capaci di giustificare
le mamme stanche per i lavori domestici,
i padri stanchi per i lavori fuori casa, e i nonni stanchi per i lavori nei
campi sono assai meno disposti a giustificare la disattenzione di un insegnante.
Fino al paradosso:
(Le insegnanti) Dicono di parlare, poi se dico quello che
penso si arrabbiano e ridono sempre. Se parlo normale si mettono a ridere e non
prendono sul serio la cosa, se mi arrabbio e glielo dico mi mettono in
punizione, allora cosa parlo a fare! Anzi, cosa dicono di parlare a fare!?
Non si tratta di un caso particolare né di
insegnanti particolarmente insensibili:
è uno dei tanti piccoli oltraggi che bambini e bambine ricevono
quotidianamente e che incidono righe di malessere, talvolta di sofferenza,
nella superficie interna della loro personalità , allesterno, volendo,
potrebbe vedersi qualcosa, ma di solito nessuno vede niente.
Una interrogazione andata bene, i calcoli
ben fatti ... un bravo detto con compiacimento significano, per ogni bambino,
un riconoscimento della propria esistenza, il segno di essere adeguato alle
aspettative; se si subiscono ingiustizie si impara ad odiare i professori o a
disprezzare le insegnanti, togliendo anche a loro qualcosa di importante,
qualcosa che avrebbe potuto farli essere.
A scuola, essere protagonisti è difficile
e quando non si trova spazio per
manifestare la propria personalità lo star male diventa palpabile, trasformato
nellimpossibile desiderio di abolire vincoli e strutture esterne ma anche in quello, talvolta altrettanto impossibile,
di condividere con gli altri le stesse idee, sfuggendo con questo alla morte
per solitudine :
Vorrei la scuola come unoasi dove non si fa niente,
strutturata come un grandissimo spazio vuoto dove puoi giocare e fare quello
che ti pare. Meglio senza organizzazione, come nellanarchia assoluta, dove
tutti hanno le stesse idee e chi non le ha viene ucciso.
Nelle elementari luniverso scolastico
visto e raccontato dai bambini è popolato di bidelle che strillano, di
supplenti da imbrogliare, di maestre che non si distraggono mai: si avverte lo
spirito di bambini ancora ribelli tenuti un po controvoglia in un luogo di
cui non apprezzano o non condividono il significato. Lo stesso mondo visto dalle insegnanti sembra abbastanza
diverso, e talvolta lansia di non riuscire a condividere la scuola con i ragazzi si manifesta nei buoni propositi di
dare maggiore attenzione alle loro effettive esigenze. Nella Media, il senso di
appartenenza è ormai costruito, i ragazzi sentono che la scuola è fatta per
loro, integrata nella loro vita sia come luogo fisico che come luogo mentale. Le descrizioni di tipo
edilizio parlano di ampi spazi a disposizione (con bagni piuttosto stretti!) adatti per una vita
sociale ricca e serena; nelle note dei giovani studenti sembra di cogliere una paziente solidarietà
con gli insegnanti con cui bisogna vivere la giornata Si capisce che la scuola
non è solo giardino e architettura ma è anche persone, gesti, abitudini,
pregiudizi, e lo sguardo riesce a
coglierla come luogo in cui si gioca una parte della propria vita.
Dunque, con tutti i suoi limiti, la scuola
come luogo di socializzazione sembra in grado di realizzare scopi e
aspettative; i desideri sono
sostanzialmente appagati e le proposte di miglioramento riguardano più
che altro il benessere psico fisico ed
emozionale, lo sviluppo di relazioni affettive caratterizzate da
maggiore intensità.
Ma forse non si va a scuola solo
per questo.
Il lavoro quotidiano di insegnamento e di apprendimento ha poco
spazio nelle riflessioni degli adulti e dei bambini, come se fosse una
inevitabile conseguenza dello star bene e non richiedesse altra e più mirata
fatica. Alcune insegnanti rimproverano a se stesse di essere troppo legate al
programma (il cui tradizionale armamentario di nozioni si rivela sempre più
obsoleto) ma non ci sono troppi
rimpianti sulla progressiva perdita di una quantità di abitudini
cognitive che, negli adulti prima ancora che nei bambini, sostengono i processi
educativi. La vita a scuola sembra immersa
in un eterno presente, in cui non si percepisce il senso dellandare, del
cammino da fare insieme. Questa stessa sensazione di non-progresso riecheggia
nelle frasi delle insegnanti che non si accorgono di tutto il lavoro svolto e
rimpiangono di non aver fatto abbastanza.
Al di la del nozionismo scolastico,
accompagnato dalla speranza di rispondere positivamente ai test di valutazione,
linsegnamento potrebbe uscire almeno un poco dalla routine e trovare una parte
del suo significato nel confronto concreto con i fatti che succedono. Proprio
il continuo rimando tra esperienza di
vita ed esperienza di scuola potrebbe costruire nei ragazzi importanti
strumenti di conoscenza, utili anche al di fuori dei contesti specifici e
agganciare lapprendimento a fatti più vicini alla esistenza quotidiana. Dalla
concretezza della vita, infatti, si diramano conoscenze e riflessioni che possono dare forma e significato
anche a saperi apparentemente poco interessanti. Per
trovare spiegazioni ai fatti e ai
fenomeni normali bisogna dilatarli nel tempo e ricostruire la storia degli
eventi che si sono concatenati per provocarli; bisogna proiettarli sul futuro e
cercarne le conseguenze e gli effetti prevedibili a breve e a lungo termine (questo richiede
tempo, lavoro mentale e approfondimento culturale). La ricerca di causalità non
lineari diventa necessaria quando ci si
accorge che nessun fatto è isolato ma è intrecciato in reti di correlazioni con
altri fatti che ne determinano o ne influenzano
lo svolgersi.
Daltra parte, se i fenomeni
aprono alla ricerca di cause e correlazioni, al tempo stesso rappresentano una
verifica dei sistemi di pensiero costruiti per spiegarli. I fatti non puniscono
gli errori ma non si lasciano neppure sedurre da tentativi di interpretazione
superficiali e che non corrispondono alla loro natura, al loro effettivo
svolgersi. La durezza del mondo reale porta così i ragazzi a confrontarsi con
un sistema per niente indulgente, che invita a non crogiolarsi sulle semplici
risposte a un test, ma spinge a cambiare
interpretazioni e ad immaginare nuove idee, modellandole proprio su quegli
aspetti che si rifiutavano di concordare con le spiegazioni precedenti.
Per altri aspetti, vivere in un
mondo di effetti senza cause porta ad una deresponsabilizzazione che a lungo
andare si rivela frustrante: ci si sente
trascinati dagli eventi e non si hanno strumenti per dirigerli secondo i propri desideri. Viceversa, la
ricerca di possibilità alternative
stimola strategie di pensiero che danno un senso al susseguirsi concatenato
delle idee e porta ad una maggiore accortezza nella ricerca di indizi che,
passo passo, possano sostenerle. Porta anche ad immaginare storie o
ricostruzioni mentali che mettano in
evidenza gli aspetti nascosti di un
fenomeno, lo s-correlino dalle correlazioni che lo vincolano, lo dilatino del
tempo e nello spazio, lo modifichino in modo mirato per valutare, così, leffetto delle variazioni
immaginate o realizzate. I ragionamenti del se
allora
cioè la
capacità di mettere relazioni tra cause e conseguenze è utile anche per evitare
malestri o disastrose sgridate in casa.
Il protagonismo di cui i ragazzi sentono tanto
la mancanza potrebbe diventare un protagonismo di conoscenza, fondato non tanto
sulle lodi (quanto arbitrarie?) delle maestre quanto su quelle che i fatti
danno a chi sa capirli e trasformarli. La fatica del capire non è imposta da
una autorità a cui bisogna più o meno volentieri obbedire ma dalla struttura
stessa delle cose: diventa simile a quella dei costruttori delle belle case in
cui i bambini vivono, a quella degli architetti che ristrutturano vecchi casali
del 600 senza guastarne lintima bellezza, la pietrosa compostezza.
Gli architetti saggi non possono
trasformare a loro piacere le strutture esistenti ma devono capirne il
significato profondo per valorizzarlo al meglio, impegnando intelligenza e
fatica. Così, per gli insegnanti, il rispetto della personalità dei bambini può
spingere a non desiderare per loro una precoce ed imposta omologazione ben valutata, ma a cercare di ripulire la strada adatta ad
ognuno, in modo che ognuno possa camminarvi più facilmente.