Il settantacinque per cento dei genitori è preoccupato per le insidie della rete
Internet, un bambino su cinque ha avuto proposte sessuali
(Ricerca Eurispes, febbraio 2001)
   

   

Internet e bambini, un binomio ricorrente. Nel mondo sono almeno 25 milioni i “cuccioli” della Rete, che quotidianamente si collegano al mondo virtuale per giocare, controllare la posta, cercare informazioni e curiosità. Ma non sempre si imbattono in ciò che cercano: uno su quattro ha visitato almeno una volta un sito porno e uno su cinque ha avuto proposte sessuali. I dati, emersi in recenti indagini negli Stati Uniti, sono riportati in una ricerca condotta dall’Eurispes per conto del ministero delle Comunicazioni dal tema "I providers e i diritti dei minori". Dal rapporto, di cui qui riportiamo una parte, risulta, inoltre, che circa il 75 per cento dei genitori si è detto preoccupato dei pericoli e delle insidie che la Rete nasconde. E’ giusto, allora, demonizzare internet? Secondo l’Eurispes no. Ma è bene, allo stesso tempo, non sottovalutare i rischi che i più piccoli possono incontrare navigando. A questo proposito, il documento fornisce un decalogo che ogni genitore dovrebbe adottare: stabilire regole su come e quando utilizzare internet, leggere le email dei figli, usare software di protezione. Il centro studi fornisce anche una prima mappatura italiana del rapporto tra Internet e infanzia. Nel nostro Paese, sono un milione e mezzo i bambini delle scuole elementari che utilizzano abitualmente il computer (il 65 per cento del campione intervistato), e 350.000 quelli che navigano in Rete. (1 marzo 2001)

 


DOCUMENTO DI RIFLESSIONE PREPARATO DALL'EURISPES PER IL MINISTERO DELLE COMUNICAZIONI

 

 

I PROVIDERS E I DIRITTI DEI MINORI

Internet e minori

Il binomio ‘bambini e Internet’ evoca, purtroppo, inevitabilmente, il problema della pedofilia. L’incalzare dei casi fioccati negli ultimi mesi (e quanto sono pochi i casi visibili rispetto ai casi sommersi) spiega perché l’associazione mentale sia inevitabile. È di pochi giorni fa la notizia, allarmante e di per sé raccapricciante, della ragazza tredicenne di Roma che conosce una coppia su una chat-line, dialoga per mesi con i due individui (un noto commercialista pugliese di 45 anni e una ragazza di origine sarda di 19 anni), si lascia convincere a un temerario appuntamento in albergo, viene violentata, ripresa con una videocamera durante gli incontri, ricattata, costretta al silenzio. Il tutto dura due anni. Episodi come questo, o come la (non difficile) scoperta di siti che espongono le fotografie dei bambini disponibili sul mercato della pedofilia, bastano ad innescare un collegamento istintivo: ‘bambini’ più ‘Internet’ uguale ‘crimine’, ‘adescamento’, ‘pericolo’, ‘orrore’. Benché questo genere di reazione angosciosa sia giustificabile e, a tratti, salutare (impone di tenere alta la sorveglianza, impone di non sottovalutare il problema, impone di non dimenticare), essa appare riduttiva, almeno quando trasporta l’assunzione tacita secondo cui Internet non possa che danneggiare i bambini. C’è ovviamente un grande spazio di manovra per fare sì che Internet risulti proficua ai bambini. Altrettanto ovviamente, il problema è estremamente complesso, e non può essere affrontato con discorsi di dieci minuti. Di fatto, Internet è un nuovo mondo, parassitario al mondo reale. Affrontare la questione dell’influenza positiva e negativa di Internet sui bambini è altrettanto difficile e sterminato – forse appena un po’ meno ambizioso – del chiedersi quanto sia positivo o negativo per i bambini il mondo reale. Tuttavia, alcuni nodi cruciali e, per così dire, preliminari possono essere e sciolti. Uno di essi è il problema della sicurezza su Internet.

La sicurezza su internet

Si parla molto di sicurezza su Internet, e soprattutto di sicurezza per i bambini. I bambini, si dice, corrono il rischio di fare brutti incontri su Internet. Internet, un territorio incontrollato, somiglierebbe troppo al bosco di Cappuccetto Rosso: un luogo ricco di oggetti e di risorse (quanto è più stipato di cose preziose e sorprendenti un bosco rispetto a una tranquilla spianata di prato…), un luogo che è necessario attraversare (un luogo che è un passaggio obbligato; come dire: "Non possiamo non navigare"), ma un luogo pericoloso, in cui il prezzo della fecondità delle scoperte è la probabilità di incappare in malintenzionati, maniaci e delinquenti. Si può subito affermare che il bosco è, in questo senso, la metafora del viatico della crescita. Il timore di uscire dai protetti limiti del giardino incantato dell’infanzia è, a lungo andare, un potente ostacolo al pieno dispiegarsi delle capacità di un individuo, che per "diventare ciò che è" ha bisogno di uscire dai recinti, di spezzare qualche catena, di affrancarsi dalle premurose protezioni della mamma e del papà. Internet, allora, è ben rappresentata dall’idea fiabesca di ‘bosco’, perché qui entrambi stanno in realtà per il mondo: il mondo in tutta la sua complessità e difficoltà, il mondo in cui c’è di tutto (anche i ladri e gli assassini, anche i pedofili, certo; ma anche tutto quanto esiste di bello e utile).

Il punto è quanto sia ragionevole, e da quale punto in poi sia eventualmente dannoso, proteggere i bambini che accedono a Internet. Subito dopo nasce la domanda pragmatica: stabilito che dobbiamo intervenire in questa misura (né di più né di meno), e che desideriamo impedire questo tipo di incontro su Internet (ma non questi altri tipi d’incontro), come dobbiamo operare? In che modo realizzeremo ciò che abbiamo deciso?

La prima è una domanda etica. Chiede cosa sia giusto fare: fino a che punto sia giusto limitare la libertà di alcuni soggetti al fine di proteggere alcuni interessi di alcuni soggetti (i soggetti i cui interessi sono da proteggere sono in questo caso i bambini; i soggetti la cui libertà può venire limitata sono gli adulti che desiderano immettere i propri materiali su Internet, ma anche i bambini stessi nel momento in cui navigano).

La seconda è una domanda tecnica: una volta fornita la risposta alla prima domanda, essa chiede come si possa riuscire ad applicare le risoluzioni prese. La prima è dunque una domanda sui fini, la seconda sui mezzi. Entrambe sono domande politiche: se ammettiamo questo, ammettiamo anche che la politica è un’attività composita, che consiste nel compiere scelte etiche riguardo ai fini, e al tempo stesso scelte tecniche riguardo ai mezzi. È molto probabile che ci troveremo a scoprire che una scelta tecnica riguardo ai mezzi è tale solo se vista da lontano; che in realtà essa è formata di tante piccole microscelte che, congiuntamente, le danno vita; che le microscelte in cui la macroscelta tecnica è sezionabile sono sia scelte di nuovo tecniche, sia scelte etiche. Ciò significa che rintracciamo sempre (o quasi sempre; quindi dobbiamo stare metodologicamente all’erta) parti o scorie di scelte etiche anche in quelle che ci sembrano, in buona fede, scelte puramente strumentali. La deresponsabilizzazione completa non esiste.

Internet e la libertà

Internet è una terra di nessuno, o di tutti. La sua grandezza è anche la sua pecca: ogni contenuto possibile, purché sia pensato e immesso in rete, è su Internet. Anche le più turpi oscenità, anche le imbecillità più bestiali, anche le idee più dannose e lesive. Tutto. Internet non ha polizia, non ha controllo. Ognuno può esporre ciò che vuole.

Internet nasce come rete di collegamento per scopi militari, ma rapidamente si afferma come luogo (in realtà come non luogo) della comunicazione globale. Viene magnificata per la sua capacità di ospitare qualunque cosa – qualunque testo, qualunque immagine, qualunque propaganda, qualunque proposta. È davvero la prima realizzazione che l’umanità conosca della libertà totale, in particolare della libertà di parola totale e della libertà di stampa totale. Non esiste censura. Ove la censura di Internet venga prospettata, anche solo evocata, scattano risentite proteste del popolo dei navigatori – un popolo che tende ad approssimarsi al popolo tout court. Nel 1995, gli USA vedono insorgere i fautori della libertà contro l’idea che il Governo possa mettere il naso in Internet con mosse paternalistiche che limitino la libertà d’espressione: è del giugno 1995 la Declaration of an Independent Internet, e cade nel dicembre 1995 la Giornata Nazionale di Protesta contro la Censura su Internet. Quando nel febbraio 1996 il Congresso approva la Legge sull'indecenza in rete (Online Indecency Bill), in segno di lutto Internet viene oscurata, e sprofonda nel nero.

C’è da chiedersi come mai esista un così grande potenziale di mobilitazione pubblica a favore dell’assolutezza della libertà su Internet, quando altre sfere della vita quotidiana sono gravate di più o meno intense limitazioni della libertà, per cui però nessuno si sente di protestare. Evidentemente Internet tocca alcune corde, alcune questioni più grandi di essa (che pure sembra così vasta da pervadere tutto).

Un fatto che non sfugge nemmeno all’uomo della strada è che la libertà è un bene: sembra che tanta più libertà ci sia per qualcuno, tanto più costui possa reputarsi fortunato. Un altro fatto risaputo è che però la vita, e in particolare la vita sociale, obbliga ad accettare alcune – molte – limitazioni della libertà. La nozione stessa di ‘consorzio civile’, diciamo pure di ‘convivenza sociale’ o di ‘società’, implicano l’idea di potenti e necessarie limitazioni delle libertà degli individui. Sarebbe bello poter fare ‘tutto ciò che uno vuole’: ma la vita sociale ci costringe a ridimensionare le nostre pretese, nel quadro di un accordo stipulato con tutti gli altri membri del patto, di modo che se anche io limito a malincuore la mia libertà di usare la tua roba e mangiare il tuo cibo, tu farai altrettanto, e ognuno vedrà salvaguardato qualcosa che siamo usi chiamare ‘diritto di proprietà’, il quale può poi essere visto come un tipo di libertà – la libertà di poter usufruire in maniera privilegiata di alcuni beni.

In questa prospettiva, tutte le possibili filosofie politiche assumono come sacrosante alcune forme di coercitività o di soppressione di alcune libertà. Per esempio, i libertari (i liberals di destra) non vorrebbero che la gente fosse libera di rubare o di violare le leggi del mercato con l’uso della forza o dell’inganno, e i liberalisti (liberals di sinistra) non vorrebbero, oltre a ciò, neanche che qualcuno fosse libero di arricchirsi a dismisura senza contribuire al benessere della società e alla diminuzione del malessere di coloro i quali non sono ricchi e vivono nell’indigenza. Passioni e Vincoli, s’intitola uno dei libri che con maggiore lucidità ridipinge la storia teorica del liberalismo, scritto da Stephen Holmes: ‘vincoli’, appunto, è una delle parole chiave per pensare correttamente alla possibilità della convivenza sociale e politica, in ogni sua forma (non solo alle molteplici forme liberali, ma ad ogni possibile forma).

Se dunque la libertà, fortemente percepita come un bene assoluto, tuttavia non si trova in nessun luogo allo stato puro – si potrebbe dire che la libertà è una utopia – interviene alla fine del XX secolo, in un momento turbinoso per la ridefinizione delle corrette aspirazioni di tante proposte politiche che si rivelano appunto utopie, un posto dove la libertà assoluta esiste. Questo posto è Internet.

Sarebbe allora assurdo ritenere che l’offerta sfavillante di libertà incontaminata proposta da Internet all’umanità intera possa non avere alcun rapporto con la condizione spuria e critica che la libertà ha sempre avuto in ogni altro settore della vita, e segnatamente in quel settore fondamentale e riassuntivo che è il settore della vita politico-sociale; tanto più che, se da un punto di vista pratico la libertà ha sempre languito nelle società organizzate (nel senso che, almeno in parte, ha dovuto sempre cedere il passo al riconoscimento di qualche diritto; e un diritto è ipso facto la limitazione di una libertà, poiché ogni diritto ha il suo correlato ineliminabile in un dovere), sullo scorcio del secolo anche, e compiutamente, dal punto di vista teorico si è cessato di sperare in un qualche sistema politico che rendesse compatibile la propria sopravvivenza con la somma libertà. In questo senso, dobbiamo annoverare i vari riflussi post-rivoluzionari, i vari post-sessantottismi, le perdite delle innocenze, quella fine dell’ingenuità che può trovare vari emblemi rappresentativi (e si potrebbe scegliere, in maniera non prevedibile e anticipatrice, Il Signore delle Mosche di William Golding).

A questo punto compare Internet, che propone una libertà totale, incondizionata. Non era mai successo: qui ognuno può dire quel che vuole, e in una certa misura (non limitata da alcuna autorità, ma dalle possibilità per di più crescenti della tecnologia informatica) può anche fare quel che vuole. Inaudito. In un contesto ancestrale in cui la libertà assoluta non esiste, e in un momento storico in cui ci si rende davvero conto di questo fatto, sbattendo la testa contro l’illusorietà della professione del contrario, Internet arriva come un angelo dal cielo: è un mondo duplicato (sempre meno oggetto, sempre più mondo) in cui c’è libertà totale. Non bisogna correre il rischio di esagerare la quota di libertà permessa da Internet; ma, appunto, i tenui confini della libertà su Internet sono segnati dalla tecnologia, dalla soglia che essa non ha ancora violato (che violerà già domani), e da nient’altro.

Il sospetto è allora che l’umanità, abituata a non poter avere tutta la libertà che pure desidera, si è trovata per le mani un sogno inaspettato: un universo parallelo, in cui si può vivere, in cui si può esistere in forme diverse da quelle che ci accompagnano nell’universo ovvio, e in cui, per di più, si può fare tutto ciò che si vuole. L’umanità si è affezionata a questo non luogo (la rete è pervasiva, è ovunque e da nessuna parte, è ‘virtuale’, è ‘irreale’) che è anche una utopia (libertà assoluta? Dove s’era mai visto?). L’umanità sembra ora meglio disposta a cedere ulteriori quote considerevoli di libertà che riguardano la vita non telematica, piuttosto che a rinunciare a quote molto minori di libertà su Internet. Ciò che non si vuole abbandonare è un angolo di perfezione, una purezza: tutta la libertà immaginabile, davvero tutta.

Accade così che nessuno ha mai pensato di protestare perché non si possono esporre fotografie di cadaveri umani (che, pure, non si siano uccisi o offesi) in una vetrina di un pubblico esercizio; ma se l’Autorità tenta di proibire l’esposizione di tali fotografie su un sito web, il popolo di Internet insorge. È vero che lo statuto giuridico del sito web è ambiguo e di non facile chiarificazione: né luogo pubblico a tutti gli effetti, né luogo privato a tutti gli effetti. Il popolo di Internet avrebbe forse voglia di obiettare, assimilando il sito web a un luogo privato, che non si commette reato se si espongono le fotografie di cadaveri in casa propria; ma già se si espongono quelle fotografie sul vetro della propria finestra che però dà sulla strada, già se si espongono nel proprio studio dove però si ricevono clienti o pazienti a causa del proprio lavoro professionistico, già se si pubblicano quelle fotografie in un libro che si intende vendere o distribuire, scatta un reato che il popolo non contesta. Il punto cruciale è che, in queste tre ultime situazioni, si potrebbe indurre qualcuno a prendere involontariamente visione di un materiale che offende la sua coscienza: un passante, un cliente o un paziente, un lettore. Peggio, ognuna di queste figure potrebbe essere un bambino.

Il codice penale italiano punisce chi espone in luogo pubblico o aperto al pubblico, o pone in vendita o distribuisce, immagini che offendano la pubblica decenza. Il caso della editoria pornografica presente nelle edicole mostra che la linea della pubblica decenza si sposta, e storicamente evolve. Un sito web è un luogo un po’ più pubblico della propria finestra di casa affacciata sulla strada, dove pure ognuno può sbirciare, e dove già sarebbe reato affiggere le foto di cadaveri. Se poi assimiliamo il sito web al libro (che si vende) o al volantino (che si distribuisce), è ancora più evidente la perseguibilità. Ma il popolo – questo è il dato sociologico saliente – è incoerente: accetta con disinvoltura che alcune pratiche non telematiche siano vietate, ma non ammette che reati omologhi – o comparativamente più configurabili – siano classificati come ‘reati’ se avvengono nella sfera di Internet, dove si vuole che tutto sia permesso, e nulla sia vietato.

I reati possono essere commessi anche omissivamente, ovvero non facendo nulla per evitare che avvenga qualcosa che costituisce reato. Se io mostro materiale pornografico a un bambino, compio reato; se lo affiggo in casa mia e ho un figlio piccolo, è ugualmente reato. È reato se lo affiggo nella casa di mia proprietà che funge anche da studio in cui svolgo la mia professione di medico privato e ricevo pazienti inconsapevoli che portano con sé i figlioletti, perché potevo impedire che i bambini venissero a contatto con quelle immagini, e non l’ho fatto. Se lo espongo su un sito web in cui un bambino inavvertito può entrare, questo anche dovrebbe – a rigor di logica – essere reato. Quel che interessa di più, ripetiamolo, non è l’incertezza della giurisprudenza in proposito, ma l’atteggiamento della gente, la quale fa molta più fatica ad accettare limitazioni della libertà su Internet piuttosto che fuori Internet, anche se le limitazioni sono più o meno le stesse e sono proposte in base alle stesse ragioni. "Toccatemi tutto, ma non Internet", per parafrasare uno slogan pubblicitario; "Tollero che mortifichiate le mie libertà ordinarie anche in modi eccessivi, ma esigo una zona franca, dove la libertà sia incondizionata, intatta".

Su Internet è stato fatto di tutto. Sono state pubblicate scene di sesso, di necrofilia, di sadismo, di morte, di violenza estrema. Si è usata la rete per allacciare rapporti fra criminali, ladri, assassini, ricettatori, spie, faccendieri. Hanno reclutato le loro vittime maniaci, truffatori, stupratori, omicidi. E, naturalmente, esiste il vasto fenomeno della pedofilia. Il tutto, non solo la pedofilia, sotto gli occhi potenziali di milioni di bambini che ogni giorno usano Internet, e navigano nel grande mare incontrollato della rete mondiale.

Il contrasto non potrebbe essere più grottesco. Da una parte ci sono siti che, per esempio, mostrano le fotografie di personaggi famosi già morti, e ritratti in obitorio, con i visi già tumefatti. Questo tipo di siti riscuote un discreto successo, e va forse incontro (nel migliore dei casi) a quella curiosità perversa che è attratta dal male e dalla morte o dai suoi antecedenti, e che fa fermare gli automobilisti in prossimità dei luoghi degli incidenti, alla ricerca visiva di un corpo in terra, di un segno dell’orribile e dello spaventoso. Esistono poi siti che, via via, diventano sempre meno giustificabili, e più criticabili, fino a quelli la cui componente di disumanità è perfino difficile da prefigurare. Dall’altra parte ci sono i bambini, che navigano, e i loro difensori – i genitori, gli operatori, i legislatori: insomma, interessi da proteggere.

Chi deve cedere il passo? La libertà del popolo di Internet, che reclama di poter mettere nel proprio sito tutto ciò che vuole e di poter andare a trovare negli altri siti tutto ciò che la gente ha ritenuto di immettervi, o il diritto dei bambini – e anche di molti adulti non disposti al raccapriccio, non devianti – a non imbattersi in oscenità e efferatezze? Il punto è che il creatore del sito dedicato alla sodomia rivendica il suo diritto di esporre immagini di sodomie, e molti utenti di Internet niente affatto cultori della sodomia lo sostengono nella sua ‘battaglia per la libertà’; mentre, al contrario, se sorprendiamo un ladro a rubare o un distinto signore a commettere atti osceni in luogo pubblico, costoro si vergognano e implicitamente o esplicitamente ammettono la propria colpa, e nessuno si sogna di difendere ‘la loro libertà’ di fare ciò che sono stati sorpresi a fare.

La nostra analisi ci porta ad affermare che introdurre una qualche forma di controllo in Internet è estremamente complesso, non solo per le risapute ragioni secondo le quali la rete permette di eclissarsi, nascondersi, sparire fra un filtro e un rimando, occultare insomma la propria identità per tirarla fuori solo quando conviene, ma anche per la ragione tutta sociologica secondo cui Internet è fortemente percepita come giardino incantato di libertà, in cui ogni divieto è vietato. Internet presenta aspetti simili, nella percezione sociale, al Carnevale, in cui "ogni scherzo vale", e in cui per un giorno ciascuno può dimenticare chi è, e divenire qualcun altro: il contadino dimenticava di essere un lavoratore oppresso dalla fame, e diveniva re, mascherandosi, sovvertendo l’ordine. In Internet, un uomo può chattare fingendosi una donna, un avvocato o un professore possono essere dei pervertiti, tutto è permesso e tutto è impunito. Il Carnevale ha dei forti paletti temporali (un giorno, o qualche giorno: il resto dell’anno è ‘la realtà’), Internet ha dei limiti spaziali o esistenziali, ma rischia di tracimare e straripare. Internet ha meno tenuta stagna del Carnevale.

Il problema della censura

Il contrasto di cui abbiamo parlato è dunque evidente quando si faccia avanti un individuo che rivendichi il proprio diritto di gestire il suo sito web sovraccaricandolo di materiale anche scabroso, purché il reperimento del materiale non abbia richiesto sopraffazioni e violenze e non poggi quindi su altri reati commessi anteriormente. Costui vorrebbe che il suo sito web fosse interpretato come la sua residenza privata: un luogo che è suo, e in cui egli ha diritto a fare (e in particolare a esporre) quel che desidera, purché ciò non presupponga l’esistenza di soggetti danneggiati. Se qualcuno visita il suo sito, è come se bussasse a casa sua: deve assumersi il rischio di ciò che potrebbe trovare. Se il visitatore non vuole assumersi questo rischio, può benissimo non entrare in quella casa (in quel sito). Va subito detto che se l’individuo in questione pubblicizza il suo sito, il discorso cambia immediatamente, e il reato si delinea con maggiore nettezza. Ma se non lo pubblicizza? Potremmo osservare che le fotografie offensive sono spesso ottenute violando i diritti di qualcuno, e avremmo ragione. Ma supponiamo che l’individuo esponga suoi disegni personali, o equivalentemente fotografie che non prestano il fianco a questa obiezione. Cosa dovremmo dire?

Un criterio decisivo starebbe nello stabilire se in effetti il sito web dell’individuo debba essere letto come un luogo privato o come un luogo pubblico. Ma abbiamo detto delle difficoltà oggettive che impediscono una facile classificazione in tal senso, e che rendono la giurisprudenza titubante. Un altro dilemma sta nel decidere se assimilare il sito web a un libro che si pubblica, oppure a un diario intimo lasciato appoggiato su una panchina (si ripropone la precedente discussione, sotto altre spoglie). Né appare risolutivo interrogarsi sulla volontà dell’individuo, sulla sua intenzione che il suo sito sia visitato da bambini e altri soggetti impressionabili: nel caso in cui egli non si sia fatto pubblicità, tale questione resta impregiudicata.

C’è qui uno scontro netto tra diritto alla libertà di parola e diritto alla salvaguardia del proprio benessere psicologico. Il necrofilo, perfino il pedofilo, potrebbero argomentare di avere diritto al loro spazio espressivo su Internet, se tutto ciò che fanno è in effetti soltanto esprimere i loro gusti, senza praticarli o mostrare documenti che implichino retrospettivamente che essi li abbiano praticati. Essi possono affermare di non fare del male a nessuno, giacché si limitano a dire e a illustrare, senza fare o aver fatto; inoltre, a differenza che se chiedessero di farlo su un libro, un quotidiano o un volantino, essi possono spiegare di avere diritto di farlo sul loro sito, che essi paragonano al chiuso delle loro mura domestiche.

Ma un sito web non è un luogo a tutti gli effetti privato. Un bambino (o un adulto normalmente impressionabile) potrebbero capitare senza volerlo in un sito contenente materiale scottante, proprio come ci si può imbattere in un canale televisivo facendo zapping col telecomando – e infatti i palinsesti televisivi sono sottoposti, senza che ciò sia visto come una limitazione inaccettabile della libertà degli autori dei programmi e dei proprietari delle emittenti, a divieti e codici di autodisciplina piuttosto ferrei.

Le domande che ci si deve porre sono molte. Non abbiamo dubbi che se una organizzazione di pedofili usa Internet per favorire i propri loschi traffici, il diritto di questa organizzazione a comunicare e scambiarsi i propri cataloghi di bambini debba essere soffocato, e la sua libertà impedita e stroncata. Ma se una rete di pedofili ‘inattivi e contemplativi’ usa Internet soltanto per scambiarsi messaggi pubblici su quanto è bello essere pedofili, senza violare i diritti di nessun bambino, né ora né in passato?

Il primo problema riguarda la decisione su quanta parte dei comportamenti che preludono ai reati veri e propri, che vi si avvicinano, che li prefigurano e li rendono possibili, debba essere vietata a causa del fatto che tali comportamenti tuttavia possono contribuire a aumentare o facilitare i comportamenti che sono, essi sì, danni per qualcuno. Questioni analoghe si pongono sul problema della detenzione di armi (in Italia è vietato possedere mitraglie à la Rambo, negli USA si possono acquistare nei supermercati; il reato, sia in Italia che negli USA, è scaricare la mitraglia su una scolaresca: l’Italia sceglie di criminalizzare anche uno stadio precedente – possedere la mitraglia –, gli USA no). Analogamente, se pure è reato commettere una strage nella metropolitana, va deciso se sia reato o no scrivere un libro su come si fa una strage perfetta in metropolitana. Sia l’autore del libro che i lettori potrebbero dire di non essere colpevoli di niente finché non decidessero, sconsideratamente, di applicare quel che prescrive il testo: se si vuole vietare loro la libertà di parola, di stampa e d’informazione, bisognerebbe censurare anche Agatha Christie, perché spiega come compiere i delitti perfetti. Questo dilemma è alla base delle discussioni, che ci sono state, se sia opportuno oscurare i siti web dei razzisti, dei nazisti, dei membri del Ku Klux Klan. In generale, il problema è etico-logico-filosofico: una società tollerante deve tollerare o no gli intolleranti?

Il secondo problema è capire quanta parte dei comportamenti di cui stiamo parlando (quelli che, abbiamo detto, non rappresentano un danno per nessuno, anche se possono preludere o inneggiare o confinare con comportamenti che rappresentano un danno per qualcuno) siano in realtà comportamenti che, anch’essi, procurano un danno a qualcuno: magari un danno psicologico. In questo senso, il sito dei necrofili o dei pedofili ‘inattivi e contemplativi’ può procurare danno alle persone che inintenzionalmente vi accedono? E se la risposta è ‘sì’, è più forte il loro diritto alla libertà di parola o il diritto dei visitatori involontari a non essere turbati ed offesi? La risposta a quest’ultima domanda non è così ovvia, perché coinvolge tutto il problema della censura artistica. I necrofili e i pedofili ‘inattivi e contemplativi’ potrebbero rivendicare per le loro fotografie, per i loro disegni e per i loro testi un ‘valore artistico’, e l’intera questione affilierebbe alla questione della censura nei confronti dell’arte. Innanzitutto, dei disegni ad uso dei pedofili possono pretendere, a priori, di essere artistici? La scabrosità non fa a pugni con l’arte (da Michelangelo a Guttuso, la nudità non ha inficiato l’arte visiva), ma oltre una certa soglia sembra che alcune ambizioni artistiche possano cadere. Eppure, per esempio, Henry Miller è stato considerato uno scrittore osceno, oltre che maledetto, al punto di meritare una censura in Italia. Nel 1962 Feltrinelli stampò Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno, ma fu costretto ad apporre una "Avvertenza importante: questa edizione è destinata al mercato estero; l’Editore ne vieta l’importazione e la vendita in Italia", anche se ovviamente il libro circolò clandestinamente. Una sovraccopertina posteriore recitò la riabilitazione: "Dovendosi escludere sul piano filosofico che l’arte possa determinare un abbassamento spirituale, quest’opera di Henry Miller è stata prosciolta in istruttoria dal Tribunale Civile e Penale di Milano con sentenza in data 13 luglio 1968".

Oggi Miller è pubblicato negli Oscar Mondadori, e anche nell’Olimpo dei Meridiani (l’equivalente mondadoriano della Pléiade), senza che ciò desti alcun problema. Ma se è vero che si deve "escludere sul piano filosofico che l’arte possa determinare un abbassamento spirituale", perché i film vengono quotidianamente tagliati e vietati ai minori dalle commissioni censura? La percezione dell’offensività e dell’oscenità di una proposta artistica ha a che fare con molteplici parametri, quali la certezza del valore artistico dell’opera, l’integerrimità dell’autore, il contesto storico e culturale. Quando Edgar Lee Masters pubblicò la sua castissima e pudicissima Antologia di Spoon River, nel 1915 negli USA, il gruppo dei Neo-umanisti lo attaccò come "iniziatore di una nuova scuola di pornografia e sordido realismo".

La questione che ci interessa è se un bambino in giro su Internet possa essere danneggiato da un sito pornografico più di quanto lo stesso bambino, in giro per una libreria, possa essere danneggiato da una pagina scabrosa di Henry Miller o di Charles Bukowski aperta a caso.

La questione non deve perdere di vista la distinzione, e meno che mai la attuale differenza, tra Internet e il mondo. Internet fa parte del mondo, come è ovvio, ma si apparta e va a formare un nuovo mondo dentro il mondo. Questa ambiguità di Internet (parte e, contemporaneamente, tutto; dipendente e, contemporaneamente, autonoma) presiede a molte delle incoerenze in cui si può cadere riflettendo su Internet stessa. In ogni modo, dovremo stabilire quanto siamo disposti ad assecondare un preciso istinto carnevalesco del popolo degli utenti di Internet, il quale chiede a gran voce che in Internet regni una libertà superiore che fuori di Internet. ‘Libertà superiore’, dobbiamo saperlo, significa ‘minore tutela dei diritti’ a non essere turbato, a non essere spaventato, a non essere disgustato, e così via. Se lasciamo passare questa linea di pensiero, una conseguenza è che permetteremo che, per esempio, un bambino possa essere danneggiato da un sito pornografico, e non permetteremo che lo stesso bambino possa essere danneggiato da un film, anche se riconosciamo che il danno derivante dal sito pornografico è superiore di quello derivante da quel film (da ricordare la polemica, di molti anni fa ma emblematica, sull’opportunità di proiettare in prima serata il film Nove Settimane e Mezzo: poi si optò per una proiezione decurtata di alcune parti delle scene più hard. Tuttavia, le scene tagliate erano povera cosa rispetto a ciò che un bambino può trovare su Internet).

La situazione odierna in Italia

Una parte della errata informazione risiede prima di tutto in un’inesatta conoscenza della reale portata del fenomeno.

Un questionario, sottoposto a un campione rappresentativo degli alunni delle elementari di tutta Italia, ha cercato di fare chiarezza su quanto effettivamente i bambini utilizzino il computer e sugli scopi principali di tale utilizzo.

Di seguito viene riportata una tabella che sintetizza i dati ottenuti.

 

Tabella 1

Percentuale dei bambini che utilizzano il computer e diversi scopi di utilizzo (scuola elementare)

Anno 2000 Valori percentuali

Uso del computer

%

Uso del computer in genere

65,4

Uso del computer per giocare

56,4

Uso del computer per studiare

27,0

Uso del computer per navigare in Internet

15,4

Fonte: Eurispes.

Una prima considerazione va fatta sulla natura della tabella e su come questa vada interpretata. Ogni riga rappresenta una domanda a sé alla quale i bambini hanno risposto affermativamente o negativamente. Sappiamo ad esempio che il 15,4% del totale del campione utilizza Internet, ma parte di essi potrebbe aver risposto di utilizzare il computer anche per altri scopi. Questo perché il rispondere affermativamente ad una domanda non escludeva la possibilità di esprimersi anche sulle altre opzioni di utilizzo.

Passando all’analisi del contenuto della tabella il primo dato che emerge è che, se è vero che moltissimi sono i bambini che utilizzano il computer (65,4%), non possiamo certo dire la stessa cosa per quanto riguarda la navigazione in rete (15,4%); i bambini sembrano utilizzare il computer maggiormente per il gioco (56,4%) e per lo studio (27,0%).

Con questo non si vuole sottovalutare un dato che resta comunque abbastanza rilevante (essendo tra l’altro verosimilmente in aumento), quanto mitigare le paure di chi vede Internet invadere le case e le attività dei bambini. Tanto più che, come vedremo in seguito, i bambini più piccoli che utilizzano Internet sono solitamente seguiti dai genitori in casa, e molti di loro si sono avvicinati allo strumento attraverso attività didattiche sotto la guida degli insegnanti.

Un secondo questionario è stato sottoposto a bambini un po’ più grandi delle scuole medie. La seguente tabella ne mostra i risultati.

Tabella 2

Utilizzi il computer prevalentemente per? (scuola media)

Anno 2000 Valori percentuali

Uso del computer

%

Giocare

34,8

Non ho il computer

31,3

Navigare in Internet

9,1

Non uso il computer

7,6

Fare i compiti

6,1

Consultare cd-rom

6,1

Altro

2,0

Non risponde

3,0

Totale

100,0

Fonte: Eurispes.

Anche in questo caso precisiamo subito la natura della tabella. Questa volta i dati sono stati rilevati da un’unica domanda dove era possibile dare una sola risposta. In questo caso quindi 9,1% indica la percentuale di coloro che hanno affermato di usare prevalentemente Internet rispetto ad altre attività.

Questo spiega in parte la differenza che su questo dato si può riscontrare tra bambini delle elementari e ragazzi delle medie. Il calo del dato sull’utilizzo di Internet dal 15,4% al 9,1% è in larga misura dovuto al modo in cui è stato ricavato ed alla natura della domanda a cui i bambini hanno risposto: nel primo caso dovevano liberamente esprimere se usassero o meno Internet, poiché era possibile fare diverse scelte, nel secondo caso, come già detto, la scelta di questa opzione avrebbe escluso altre possibilità e quindi è stata fatta solo da coloro che prevalentemente usano Internet.

Nonostante questa correzione del dato probabilmente molti si aspettavano un utilizzo maggiore di Internet da parte dei più grandi.

Va inoltre aggiunto che il confronto diretto fra i dati delle due tabelle è possibile in un caso: quello dell’utilizzo o meno del computer a prescindere dagli scopi. Ciò che emerge è riassunto nella tabella seguente.

Tabella 3

Utilizzo del computer: bambini delle elementari e delle medie a confronto

Anno 2000 Valori percentuali

Uso del computer

Elementari

Medie

Utilizzano il computer

65,4

58,1

Non utilizzano il computer

34,3

38,9

Non rispondono

0,3

3,0

Totale

100,0

100,0

Fonte: Eurispes.

Possiamo dare due possibili tipi di spiegazione al maggiore utilizzo da parte dei più piccoli. Da una parte l’alfabetizzazione informatica sembra stia prendendo maggiormente piede nelle scuole elementari, forse non tanto da un punto di vista quantitativo, quanto per il tipo di uso che se ne fa e soprattutto per il modo in cui tale uso viene recepito. I più piccoli, in virtù della loro stessa età, partecipano in maniera più attiva alle attività informatiche, sempre a patto che i pacchetti di software lo permettano e non costringano il bambino ad operazioni passive; questo appare garantito dall’oggetto stesso dei programmi informatici per le elementari e dal fine che perseguono. I bambini più piccoli porterebbero quindi anche a casa tali capacità e sarebbero maggiormente motivati.

In secondo luogo è indubbio che, per la loro età, i più piccoli sono seguiti maggiormente dai genitori (con importanti influenze relazionali che analizzeremo in seguito) e questo non può che motivarli ad un uso maggiore delle tecnologie informatiche. I ragazzi delle medie si trovano in una specie di limbo: non hanno ancora le capacità degli adolescenti più grandi per fare tutto da soli ed essere completamente indipendenti, e, allo stesso tempo, non vengono nella maggior parte dei casi seguiti da una figura adulta.

I bambini e internet: rischi, ma quanto mi rischi?

Quando si parla dell’utilizzo di Internet da parte dei bambini e dei ragazzi, se ne parla spesso in relazione ai rischi che la navigazione in rete comporta. Pur non negando che tali rischi esistano, riteniamo sia necessaria una analisi più accurata su quali possano essere effettivamente i problemi legati a tali questione. Come abbiamo già visto il fenomeno è meno pervasivo di quel che si creda (ma abbiamo anche detto che i dati sono inevitabilmente in aumento). Ciò che approfondiremo adesso è il modo in cui i bambini si relazionano a questa tecnologia e i motivi per cui lo fanno. Non si può infatti parlare di rischi della navigazione senza distinguere i diversi modi in cui può essere utilizzato Internet. Non disponendo in questo caso di dati a livello nazionale, faremo esplicito riferimento ad una ricerca pilota condotta da Piero Bertolini alla quale rimandiamo direttamente per ulteriori approfondimenti (Navigando nel cyberspazio: ricerca sui rapporti tra infanzia ed Internet, BUR-Telefono Azzurro 1999). L’autore e gli altri ricercatori coinvolti hanno analizzato il fenomeno utilizzando interviste dirette a bambini e genitori.

Il campione della ricerca e le interviste da esso estratte riguardano il caso particolare della città di Bologna: un "osservatorio privilegiato", come sottolineano gli stessi autori, poiché la città sin dal 1995 gode di un servizio cittadino (Iperbole) che ha stimolato la diffusione della navigazione nelle famiglie, ed ha portato alla creazione di una vera e propria rete civica. Si tratta di una precisazione di ordine non solo metodologico, poiché il caso Bologna riflette non solo una situazione particolarmente privilegiata, ma rappresenta un esempio di come il fenomeno è vissuto oggi in un periodo che potremmo definire di transizione. Come gli autori stessi sottolineano non sappiamo cosa accadrà quando l’uso di Internet diventerà effettivamente fenomeno di massa, ma soprattutto disconosciamo quali stili di navigazione si affermeranno tra i ragazzi se, a seguito di tale diffusione, dovessero mutare le attenzioni da parte dei genitori. In questo primo periodo, infatti, il modo in cui soprattutto i più piccoli usano il nuovo mezzo è fortemente condizionato dalla presenza dei genitori e dalla loro guida nelle attività di esplorazione.

Tornando agli scopi di utilizzo del mezzo, dalla ricerca emerge che i bambini usano prevalentemente Internet per la navigazione nel Web e per la posta elettronica. L’utilizzo delle newsgroup e delle chat risulta invece considerevolmente meno significativo (quasi assente). Il rischio di "brutti incontri" in rete, così tanto paventato dagli adulti, non troverebbe quindi (almeno per ora) un effettivo riscontro nei dati.

Zone d’ombra, tra l’opinione dei ragazzi e quella dei genitori, si vengono invece a creare per quel che riguarda il tempo che i primi trascorrono collegati alla rete e la possibilità che questi lo facciano da soli. Forse perché i genitori vogliono dare una idea di sé come di educatori avveduti, o forse perché effettivamente i ragazzi (soprattutto i più grandi) acquistano sempre maggiore autonomia per l’uso del mezzo, ci sono discordanze nelle risposte relative a tali comportamenti se si interrogano gli adulti o i loro figli.

L’idea, però, che Internet possa rubare del tempo prezioso ai ragazzi o addirittura portarli all’isolamento e ad una povera socializzazione sembra eccessiva. Abbiamo finora detto che la situazione cambierà con la diffusione di massa del mezzo, ma il parallelismo con la televisione che molti fanno quando si affronta questo specifico problema, non sembra reggere del tutto. Questo in virtù delle diverse caratteristiche del mezzo e di come lo vivono i bambini. La maggior parte di loro dichiara infatti di preferire la vecchia televisione per distrarsi e passare del tempo quando si è da soli. Non vogliamo demonizzare il mezzo televisivo in difesa di Internet e delle nuove tecnologie (tanto più che aderiamo alla teoria della mediazione familiare per quel che riguarda ogni mezzo di comunicazione), ma è risultato effettivamente più faticoso per i bambini passare molto tempo collegati alla rete, ed in ogni caso l’idea che molti di loro hanno sul mezzo è più avveduta di quello che crediamo. Riprendendo quanto detto in precedenza, per i bambini nati in una società già multimediale, il rapporto con le nuove tecnologie è spesso più disinvolto e naturale del nostro. Numerosi sono i ragazzi che lo considerano uno strumento per raggiungere un determinato scopo, e più bambini di quel che gli adulti credano, lo considerano uno strumento di lavoro. La navigazione fine a se stessa è poco presente tra i bambini più piccoli e caratterizza lo stile di utilizzo del mezzo da parte dei più grandi.

A questo punto è necessario precisare quanto emerso dalle interviste ai genitori dei ragazzi: il modo in cui i bambini intendono Internet, a cosa possa servire, come vada utilizzato, è strettamente legato a come questi vengono introdotti e guidati dalle figure adulte a loro più vicine.

Prima di approfondire tale questione vorremmo precisare di quali adulti si tratta e riprendere quanto detto sulle differenze di genere nell’utilizzo del computer. Prima ancora, pensiamo sia utile un aggiornamento statistico sull’utilizzo del computer e di Internet nel nostro Paese. Stando all’ultimo documento dell’Istat disponibile in materia – l’intervento del professor Alberto Zuliani al Forum permanente delle telecomunicazioni del 14 febbraio u.s. – fra il 1995 ed il 1999 il numero di personal computer presenti nei paesi dell’Unione europea (con i suoi 100milioni di personal computer registrati nel 2000) ha visto una crescita di quasi 10milioni l’anno con un tasso medio di incremento pari al 10% circa. Sono i paesi nordici che presentano le più alte densità: il 40% degli abitanti ha un computer; Grecia e Portogallo presentano invece i rapporti più bassi: rispettivamente il 6% ed il 9%. In Italia invece il 20% degli abitanti ha un computer e questo dato è in continuo incremento negli ultimi tre anni.

Se passiamo a considerare l’uso di Internet, osserviamo che nel 1999, sempre in Europa, coloro che utilizzano la Rete si attestano intorno ai 56milioni (riportando un tasso di crescita rispetto all’anno precedente del 54,5%) e che rappresentano il 14,9% della popolazione. Svezia, Finlandia, Danimarca, Regno Unito, Germania, Olanda e Lussemburgo si collocano al di sopra della media europea, mentre la Francia e l’Italia si attestano rispettivamente al 9,6% ed all’8,7%. In Italia, in particolare, l’incremento di coloro che utilizzano Internet tra il 1998 ed il 1999 è stato del 66,7%.

All’interno delle famiglie italiane l’interesse per internet è decisamente in crescita: circa un terzo ha in casa qualche tipo di apparecchiatura informatica che è andata aumentando in tre anni dal 23% al 29%. In particolare il possesso di un personal computer è passato dal 16,7% del 1997 al 20,9% del 1999. Ancora maggiore lo scarto di crescita tra le connessioni ad Internet tramite abbonamento: da 3,9% del 1997 al 9,4% del 1999.

È comunque importante evidenziare come tale fenomeno, pur in una crescita esponenziale, riguardi ancora una quota estremamente limitata della popolazione, anche se, i tempi rapidissimi con cui l’abitudine ad Internet si diffonde, fanno già intravedere importanti cambiamenti specialmente sul piano sociale.

Stando sempre agli ultimi dati Istat, la diffusione delle tecnologie informatiche e telematiche sembra risentire non poco della condizione sociale delle famiglie, ravvisabile dalla professione dell’intestatario: il 52,3% di quelle in cui l’intestatario è in posizione di dirigente, libero professionista o imprenditore, possiede un personal computer ed il 31,1% risulta abbonato ad Internet. Se lo stesso raffronto si fa tra le famiglie operaie osserviamo che le quote scendono rispettivamente al 15,8% per il pc e al 4,4% per l’abbonamento ad Internet. Il fattore che discrimina maggiormente è il titolo di studio della persona di riferimento all’interno della famiglia: se laureata il possesso del computer sale a 54,4% e l’abbonamento ad Internet a 31,9%; con i titoli di studio inferiori, invece, diminuisce progressivamente arrivando a 6,8% e a 2,5% rispettivamente per pc ed Internet, se l’intestatario ha la licenza elementare o non possiede alcun titolo.

Gli aspetti più interessanti del fenomeno, infatti, sono la sua evoluzione nel tempo e l’impatto che può avere sulle disuguaglianze sociali. In soli tre anni la distanza esistente tra gruppi professionali tradizionalmente distanti, quali i dirigenti, liberi professionisti e imprenditori da un lato e gli operai dall’altro, è andata significativamente diminuendo. Le percentuali di famiglie dei due gruppi in possesso di un personal computer erano in rapporto di 4,6 a 1 nel 1997 e di 3,3 a 1 nel 1999, mentre per gli abbonati Internet si è passati dal rapporto di 12,6 a 7,1.

Dunque è in notevole crescita l’interesse da parte degli italiani per tutto ciò che riguarda l’ICT e le sue utilizzazioni. Va ricordato, comunque, che il mercato europeo ed italiano in particolare, presentano un forte ritardo rispetto a quello statunitense. L’Europa avrebbe un ritardo di circa un quinquennio e ciò si spiegherebbe, da un lato valutando il vantaggio strutturale dell’economia statunitense nello specifico settore produttivo, dall’altro considerando le rigidità strutturali delle economie europee che non sarebbero particolarmente vivaci nel promuovere e sostenere la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

Tornando agli adulti di riferimento, possiamo dire che, nella maggior parte dei casi è il padre, ad occuparsi della gestione di Internet in casa e questo implica una particolare conseguenza. Anche in questo caso, come per altre tecnologie, si realizza un particolare fenomeno circolare di educazione: da una parte, in virtù del pregiudizio di genere sugli interessi dei propri figli, il rapporto privilegiato che viene ad instaurarsi è quello tra padre e figlio maschio; dall’altra tale rapporto privilegiato influisce circolarmente sull’emergere effettivo (e ancor di più sul mantenimento e la coltivazione comune) di interessi nei maschi verso ciò che più è tecnologico e innovativo.

Tornando agli stili educativi, e a come questi possano influire sugli stili di navigazione dei bambini, gli autori del libro Navigando nel cyberspazio: ricerca sui rapporti tra infanzia ed Internet (Telefono Azzurro 1999) hanno individuato, dalle loro interviste in profondità, tre tipologie di vissuti famigliari su Internet, e tre conseguenti diversi modi di utilizzo.

Così in una prima famiglia Internet è inteso dal padre essenzialmente come uno strumento di lavoro. Egli ritiene utile introdurre la figlia all’uso del mezzo, ma esclusivamente secondo l’idea che lui stesso ne ha. La navigazione fine a se stessa è considerata nella maggior parte dei casi una perdita di tempo, e l’attività al computer della figlia è strettamente guidata dal genitore: sia per quel che riguarda le tecniche di navigazione in sé, che per quel che riguarda quali siti esplorare. Non mancano margini di autonomia e certamente il padre cerca di seguire gli interessi della figlia, ma l’attività in rete sembra molto controllata e in fin dei conti la ragazza non sembra interessata più di tanto al mezzo: quanto di questo è attribuibile alle reali motivazioni della figlia e quanto alla particolare introduzione ad Internet che la bambina ha avuto?

In una seconda famiglia Internet è visto ugualmente come uno strumento utile, ma di una utilità a più ampio raggio, nella quale non è previsto solo il lavoro in senso stretto. Le preoccupazioni del padre sono quindi quelle di incentivare, nel modo migliore possibile, l’alfabetizzazione informatica dei figli e il loro avvicinamento a Internet, ma con un metodo completamento diverso da quello della prima famiglia. Essendo diversa l’idea stessa sulle potenzialità della rete, lo strumento maggiormente utilizzato in questo caso è proprio quello del gioco e della navigazione fine a se stessa. Questo padre sa che, per motivare i propri figli e indurre in loro interesse per le nuove tecnologie, può essere utile sfruttare i canali di apprendimento a loro più congeniali ed avvicinarli in maniera graduale ad un uso più maturo. Solo in questo modo per lui potranno essere in futuro sfruttate tutte le potenzialità della Rete.

Un ultimo stile di navigazione è quello della terza famiglia presa in considerazione dalla ricerca. Questo caso mostra come le variabili in gioco cambiano notevolmente in virtù dell’età dei soggetti. Qui infatti la ragazza è più grande (16 anni) ed usa Internet in maniera autonoma e indipendente: il suo principale scopo diviene quindi quello della comunicazione. La ragazza usa principalmente le newsgroup e la posta elettronica e il padre non sembra allarmato da tale situazione. Non impone filtri alla navigazione, nè censure sul tipo di utilizzo, considerando la figlia all’altezza della fiducia che egli pone in lei e matura per tali attività.

Riassumendo, la situazione attuale non sembra affatto allarmante (ricordiamo in ogni caso che si tratta di una ricerca circoscritta). Inoltre, l’attenzione oggi posta dai genitori su ciò che ruota attorno al mondo di Internet sembra addirittura stimolare, all’interno delle famiglie, una utile riflessione sui propri stili educativi ed una analisi delle proprie dinamiche relazionali. In futuro, quando il fenomeno si diffonderà maggiormente, sarà ancora più utile approfondire la ricerca in questo campo ed analizzare i presumibili nuovi stili di navigazione che emergeranno col tempo.

ALLEGATO

Pedofilia ed internet

La devianza della pedofilia è un male antico come il mondo. Oggi con la rete delle reti è pubblicizzata e mercificata come non era mai accaduto prima.

Le vittime sono i bambini della porta accanto, o dello stesso gruppo familiare, che con vari artifici, ricompense o minacce, sono costretti per anni o per sempre a nascondere il loro sofferente segreto.

Il comune senso della morale e dell’etica ripudia e sanziona negativamente un rapporto sessuale tra un adulto e un minorenne. La continua disponibilità di mezzi di comunicazione fa maggiormente emergere e sottolineare questo tipo di devianza.

Si deve parlare essenzialmente di devianza, prima ancora che di criminalità. Coloro che compiono atti di pedofilia sono delle persone malate che il più delle volte hanno subìto a loro volta delle violenze durante la loro infanzia o fanciullezza.

Un allarme sociale che negli ultimi anni sta crescendo è quello della presenza dei pedofili su Internet. Del resto, dal 1995 ad oggi i vari organi di informazione hanno dato particolare risalto agli atti di violenza sessuale perpetrati nei confronti di minori, fino a farne un tema ricorrente della cronaca.

Internet non deve essere demonizzato, ma deve essere essenzialmente regolamentato. Oggi troppo facilmente si imputa al nuovo strumento di comunicazione la colpa di una recrudescenza della pedofilia, che da sempre serpeggia nei costumi sessuali di uomini e donne. In realtà non è possibile asserire con certezza che il fenomeno si stia espandendo: di certo è molto più visibile e molto più "pubblicizzato" rispetto al passato.

Comunque le più recenti indagini Usa, il paese a più alto uso di Internet, affermano che oggi sono almeno 25 milioni i bambini che ogni giorno navigano per ore; per il 2005 si prevede che saranno almeno 44 milioni: uno su quattro di questi bambini ha almeno una volta esplorato un sito porno; uno su cinque ha avuto proposte sessuali di vario genere; il 75% dei genitori sono preoccupati.

Navigando in Rete ci si può imbattere anche in alcuni siti di organizzazioni pseudoliberatorie che difendono la "cultura" della pedofilia e si battono per i diritti della categoria dei pedofili, essenzialmente chiedendo la legalizzazione dei rapporti sessuali senza alcun limite circa l’età dei partner, a patto che siano consenzienti.

Tabella 1

La pedofilia nel mondo

Anno 2000

Bambini in stato di schiavitù sessuale

2 milioni

Bambini che subiscono violenza

7 su 1.000

Siti pedofili censurati(*)

7.650

Mercato on line della pedofilia in dollari

5 miliardi

Costo foto dei bambini raffiguranti scene violente in dollari

30-100

(*) Nell'anno 1999

Fonte: ECPAT Italia.

Il nostro legislatore ha posto sempre al centro del suo interesse la difesa e i diritti dell’infanzia.

Lo dimostra la legge 269 del 1998 [2], che prevede perfino siti trappola su Internet e introduce pene severe per chi sfrutta i minori a scopo sessuale, sia per attività di prostituzione sia per la realizzazione di materiale pedo-pornografico. La pena va da un minimo di sei a un massimo di dodici anni di reclusione, e una multa da 30 a 300 milioni. Inoltre, chi fa commercio di minori di 18 anni al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione da 6 a 20 anni. Si applicano pene più gravi se questi reati sono commessi nell’ambito familiare, o riguardano ragazzi e ragazze di età tra i 14 ed i 16 anni.

Tali sanzioni sono previste dalle norme della legge contro lo sfruttamento sessuale dei minori approvate in via definitiva il 30 luglio 2000 dalla Commissione Speciale Infanzia del Senato. Tale legge ha introdotto nuovi articoli nel Codice penale (600 bis, ter. C.p.) per punire i reati sessuali commessi ai danni dei minori, ivi compreso lo sfruttamento della pornografia, anche attraverso Internet: contro i messaggi che viaggiano in rete le autorità di polizia potranno creare dei "siti-trappola" per stanare i pedofili, nei confronti dei quali possono anche essere compiute intercettazioni telefoniche. Nel mirino delle nuove norme anche coloro che organizzano viaggi nei cosiddetti "paradisi sessuali" dove è possibile avere rapporti con i minori.

A loro volta tutti i tour operator che operano in queste zone dovranno pubblicare sui propri depliant avvisi ai viaggiatori per avvertirli che la legge italiana punisce chi sfrutta la prostituzione minorile. Per questi reati inoltre è prevista la confisca dei beni che andranno in un apposito fondo destinato a finanziare specifici programmi di prevenzione, assistenza e recupero psicoterapeutico.

Nell’ultimo periodo sono state avanzate varie proposte, come immettere nella rete un virus che oscuri i siti e le pagine web con contenuto pedopornografico, ma di fatto sussiste un problema di carattere giurisdizionale, in quanto la maggior parte dei siti incriminati si trovano fuori dal territorio italiano.

Si tenga presente che il giro d’affari legato allo sfruttamento sessuale dei bambini nei paesi extra-europei si aggira sugli 11.000 miliardi di lire. Per fare degli esempi, in Indonesia il mercato sessuale è costituito per il 60% da minori, in Vietnam per il 20%.

Tabella 2

Il mercato sessuale legato allo sfruttamento dei minori

Anno 2000

I minori sfruttati sessualmente in Thailandia (*)

800.000

I minori sfruttati sessualmente in Brasile

500.000

I minori sfruttati sessualmente in Perù

500.000

I minori sfruttati sessualmente nelle Filippine

70.000 - 100.000

I minori sfruttati sessualmente in Nepal

200.000

I minori sfruttati sessualmente in Cina

200.000 - 500.000

I minori sfruttati sessualmente in India

400.000 - 500.000

I minori sfruttati sessualmente in Venezuela

40.000

I minori sfruttati sessualmente in Honduras

25.000

I minori sfruttati sessualmente in Paraguay

26.000

I minori sfruttati sessualmente nella Rep. Domenicana

35.000

(*) Fonte: OIL

Fonte: ECPAT Italia.

 

Da questi dati si può intuire quali e quanti interessi economici si muovano attorno allo sfruttamento sessuale dei minori. E dall’ampiezza dell’offerta si possono ipotizzare purtroppo le dimensioni della domanda.

 

Tabella 3

Attività della Polizia delle comunicazioni in Italia
Anni 1998-2000

Arresti effettuati

41

Persone sottoposte alle indagini

389

Perquisizioni domiciliari

271

Segnalazioni agli organi investigativi esteri

586

Siti web monitorati (newsgroup-chat)

3684

Indagini effettuate

924

Fonte: Polizia delle Comunicazioni.

La tavola si riferisce al numero di operazioni effettuate dalla Polizia, dall’entrata in vigore della legge 269/98 aggiornata al 24 novembre 2000.

 

Tabella 4

Regole consigliate per tutelare i minori che usano Internet

Anno 2000

Il computer deve essere posizionato al centro dell'appartamento, mai nella stanza del bambino

Stabilire delle regole ben precise su come e quando utilizzare Internet

Conoscere gli amici on-line dei figli

Leggere le e-mail con i figli. Molti pedofili attaccano alle e-mail delle foto di pedopornografia con il fine di convincere che altri bambini compiono atti sessuali

Installare software che memorizzi i siti visitati dal bambino

Assicurarsi che i bambini non possano incontrare nessuno, nella vita reale, conosciuto on-line, senza il consenso dei genitori

Usare il software di protezione, che riconoscono alcune parole come sex, erotico, porno etc.

Tenere lontani i bambini dalle chatroom o da IRC, a meno che non sono state controllate prima

Far capire ai propri figli di non dare alcuna informazione personale (es. la città, la scuola frequentata)

Bisogna cercare di usare internet insieme ai propri figli

Fonte: Centro Documentazione dell'Eurispes.

Queste semplici regole se seguite possono essere molto efficaci per tutelare il minore che viaggia on-line.

Il Parlamento europeo si è occupato, e sta ancora occupandosi, della tutela e dei diritti del fanciullo, in particolare sta cercando di contrastare lo sfruttamento sessuale dei bambini. L'abuso sessuale dei bambini è una delle più scioccanti e orribili violazioni dei diritti dei bambini. In vari modi o semplicemente per povertà i bambini sono costretti ad entrare a far parte degli oltre 3 milioni di bambini dediti alla prostituzione nel mondo. Altri sono sfruttati per scopi pornografici. L'Ue è anche particolarmente preoccupata per il potenziale ruolo di Internet nel quadro dello sfruttamento sessuale dei bambini.

L'Ue promuove attività internazionali volte a trovare modi più cooperativi e più efficienti per affrontare il problema. L'UE chiede che sia messo a punto rapidamente un protocollo facoltativo della Convenzione sui diritti del fanciullo relativamente alla vendita di bambini, alla prostituzione e alla pornografia infantile.

L'Ue ha messo in cantiere alcune iniziative volte ad affrontare il problema tra cui:

il programma STOP dal 1996 al 2000

che cerca di promuovere e coordinare attività per combattere il traffico e gli abusi sessuali nei confronti dei fanciulli;

il piano di azione pluriennale della Comunità che è stato proposto per combattere l'uso di Internet per lo sfruttamento sessuale dei bambini;

il processo della riunione Asia-Europa (ASEM) volto ad accrescere la cooperazione per combattere gli abusi sessuali nei confronti dei fanciulli e la prossima apertura di un sito web per lo scambio di informazioni sulla legislazione e le migliori pratiche in materia.

La lotta contro il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia, con le varie iniziative a livello europeo e da parte dei vari governi nazionali della Ue ha spinto il Consiglio a stilare queste conclusioni attraverso le quali, oltre a sottolineare le varie azioni positive nel settore, stimola le istituzioni europee e gli Stati membri a non lasciar cadere la tensione su questo particolare campo della violenza ai minori, e anzi a sviluppare sempre più azioni appropriate (5 gennaio 2000).

Il problema della pedofilia, come sottolinea Simonetta Matone (Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Roma), è sempre stato mal posto perché siamo abituati a considerarlo come un fenomeno extra familiare mentre è essenzialmente familiare.

Molti sostengono che la sola azione repressiva non sia capace ad arginare il problema. Infatti c’è bisogno di sommare alla pena detentiva un’azione di cura.

La pedofilia si deve considerare una devianza sessuale, che in alcuni casi, può diventare una vera e propria psicopatologia, da trattare pertanto con interventi psicoterapeutici appropriati.
Il carcere infatti non è sufficiente a guarire la rieducazione completa del pedofilo il quale, senza una adeguata terapia farmacologica di supporto, una volta espiata la pena, potrebbe ricominciare a commettere atti di violenza sui minori.

L’esperienza di altri paesi, quali la Gran Bretagna, la Danimarca, la Francia, l’Austria e, negli Stati Uniti, la California testimonia come i pedofili vengano trattati come devianti sessuali e si attua nei loro confronti la cosiddetta "castrazione chimica", che altro non è che una ormonoterapia.

Si tratta di una terapia, peraltro già usata nel trattamento di alcuni tumori come la prostata, a base di ormoni in grado di ridurre la produzione del testosterone: alcune ricerche scientifiche, infatti, hanno dimostrato che questo ormone maschile è causa, se presente in quantità superiori alla norma, di disturbi sessuali di vario genere, tra cui appunto la pedofilia.

Nel mese di settembre 2000 in un sito danese propedofilo, i pedofili italiani hanno, con una lettera aperta, chiesto aiuto alle autorità italiane, definendosi come "persone malate e quindi bisognose di cure".

Dal fronte internazionale molte persone si stanno mobilitando, come alcuni hackers che hanno dichiarato guerra ai circa 50.000 siti Internet dei pedofili.

In Italia esiste l’Anti-Pedo Hackers Crussade che ha come obiettivo di rimuovere ogni traccia di violenze e abusi su minori in rete, identificarli e denunciarli alle autorità.